Dicono di me
Il paesaggio dell’anima di Nicoletta Tarli
Friedrich Durrenmatt avverte che “se la realtà potesse parlare non enuncerebbe formule di fisica ma canterebbe una canzone infantile”.
E noi parafrasandolo aggiungiamo che parlerebbe al nostro cuore con un dipinto, magari di Nicoletta Tarli, laddove la natura ci viene incontro con le braccia aperte di fiori e ruscelli. E di cielo. Nell’intento di suscitare agli uomini di buona volontà la speranza d’amore e l’ottimismo della ragione.
Nicoletta Tarli è una pittrice in cammino che persegue bellezza e conoscenza. Con negli occhi le lacrime della malinconia esistenziale.
Da sempre l’artista perugina rincorre un progetto di valori che pone al centro della sua attenzione creazionale la donna rurale e le sue quotidiane fatiche lavorative.
Con tutta la sua squisita sensibilità femminile trasfigura nei suoi esiti pittorici sia le pulsanti emozioni di un cuore sensibile al mistero del creato, sia alla faticosa condizione femminile contemporanea.
Nicoletta che ha al suo attivo un percorso artistico di consistente apprezzamento di pubblico e di critica, propone in quest’ultimo evento espositivo antologico, non solo una originale esplosione floreale, ma anche una nota originale e fantasiosa di ottimismo paesaggistico.
In questa nuova stagione la pittrice, mentre mantiene una continuità con le sue risultanze del passato, dall’altro costruisce impianti artistici laddove planano fantasticamente mongolfiere che sembrano volersi involare verso i cieli infiniti e in direzione di paesaggi dell’anima.
Nondimeno questa urgenza di liberazione di Nicoletta Tarli in direzione di una poetica bellezza indeterminata trova ragion d’essere ulteriore in quelle strane automobili in sosta per mancanza di mete precise. Che tra l’altro entrano in una sorta di strabiliante declinazione nella fattualità di leggiadre bambole che mentre ci rammentano la grazia femminile, dall’altro ci ricordano che in ogni donna si cela una musa.
Di sicuro Nicoletta Tarli è pittrice che mai s’arrende alle difficili stagioni della vita.
La luce, per quanto difficile ad alzarsi all’orizzonte, non si lascia travolgere dall’ombra.
Al di là dell’apparenza formale che potrebbe indurci a pensare alla dimensione “naive”, in verità, gli esiti pittorici di Nicoletta Tarli meritano attenzione critica. Le sue tele esprimono le interpretazioni spirituali e concettuali di una donna… in perenne movimento.
Giovanni Zavarella 2015
critico d’arte
“Sentir, aimer, souffrir, se dévouer,
sera toujours le texte de la vie des femmes”.
Honoré de Balzac
● E da quando la creatura – donna è insorta dalla sapienza di Colui che tutto può, non di rado ha vissuto la propria condizione subordinata all’uomo. Non per completare il valore creazionale della coppia, quanto, invece, per vivere uno stato sudditale, incompresa, insoddisfatta e colpevolmente marginale. Sovente i brividi della sua anima che pure secondo Ernest Renan “ci mettono in comunicazione con l’eterna sorgente di Dio”, restano inascoltati, inutilizzati, non percepiti. Si disperdono in una galassia maschile implosa e si dissolvono in una società fortemente accentata ed accentuata di arrogante maschilismo ed insignificante isolazionismo. Lasciando distante e sgomenta colei alla quale la sacra natura affidò il canto della seconda creazione. A volte obbligandola nella turris eburnea senza porte e finestre. Ripiegata con le mani giunte su se stessa, inginocchiata sul suo straziante dolore lacrimante, in attesa di un’alba che tarda a venire.
Per fortuna su questa dimensione femminile che avverte e registra la risonanza emozionale di un tempo e di situazioni che forse non ci sono più, fatti di una successione di donne in processione e punteggiata di lamenti e pianti, sovviene e sopraggiunge come rugiada su terra riarsa, lenitrice d’amore l’arte.
Assolutamente sì, la pittura.
Allorquando, come nel caso di NICOLETTA TARLI, la trasfigurazione in immagini, risulta essere l’urlo di una coscienza femminile in cammino, per comprendere ed essere compresa. Per dirlo con Leonardo da Vinci, laddove la “peinture est un poésie qui se voit au lieu de se sentir” e dove l’immaginazione emozionale è molto più importante della scienza. È un grido di dolore, di allarme, di protesta, di contestazione di una umanità che non sa disporsi in felice auscultazione del bisogno dell’altro. Una umanità che non sa dare carezze all’anima di chi ci è vicino. Che invece di indurci allo spogliarello dell’anima, ci imprigiona nel disagio relazionale. Comprimendo la gioia di albe d’amore con il prolungamento di notti tenebrose, dove il luccichio delle stelle è spento dai fantasmi in movimento impaurito.
La nostra pittrice, a differenza di chi non ha la ragione di una ribellione interiore, per assenza di scienza e coscienza, lancia, a mo’ di cerchi concentrici, non solo la visibilità e la credibilità di una donna affaccendata e affaticata entro e fuori della casa, ma visualizza un uomo distinto, distante, estraneo, evasivo, effimero, tutto proteso al suo essere e/o avere. Indifferente ad una attiva partecipazione. Si badi bene non solo in chiave di lettura materiale, ma soprattutto in quella affettiva. Con alcune accentuazioni come nella sposa sulla motocicletta o nelle percosse del viandante in sulla strada, apparentemente immotivato.
Ciò non induca a pensare che la pittura di NICOLETTA TARLI sia l’esito di un percorso disperato e disperante. La sua squisita sensibilità ci chiama e ci interroga sul nostro essere insieme. Non per girarci le spalle. Non per procedere l’uno contro l’altro. Ma, invece, la mano nella mano. Per più e meglio camminare nell’aiuola di memoria dantesca. Nella piena convinzione che solo l’amore è il motore vero della vita. Che solo l’amicizia e la solidarietà sono i sentimenti per dissolvere le nebbie dell’egoismo.
D’altra parte le ultime opere di NICOLETTA TARLI attenuano questa malinconica visione della vita. La pittrice non solo illumina di più le tonalità cromatiche con tagli più teneri, più morbidi, più delicati, ma addirittura ripropone la ricomposizione di coppia, situata in un interno, dove accanto all’affaccendarsi delle donne, viene rappresentato un uomo al lato del letto in commossa assistenza della propria donna. Ancor più, questa nuova stagione coloristica di NICOLETTA TARLI che nel passato si era espressa esclusivamente nel turgore dei petali dei fiori, ora trova ad esplodere non solo nelle distese incendiate di rossi papaveri e nel giallo oro del grano, ma anche nella cura di abiti che sembrano non rammentare più il grigiore dei marroni scuri e verdi bottiglia. Sembra che quei colori del dolore situazionale e formale si siano definitivamente allontanati da Nicoletta che protende ad una figurazione più contemporanea.
Peraltro questo pizzico di ottimismo che tende a superare la donna profondamente malinconica del tempo pittorico déjà vu et déjà passé, trova una sua calma espressività, se non felice, almeno serena negli interni, dove la donna più curata e dai colori più vivaci si pone e contrappone ai violini, al bicchierino di rosolio, al vasetto di fiori e all’uccello infiduciato sulla soglia della finestra che si allunga in un cielo azzurro sereno dove volteggia la rondine.
Come segnare questa stagione pittorica di NICOLETTA TARLI?
Si tratta di un tempo di transizione.
La pittrice ha dispiegato le vele del suo brigantino ed ha lasciato il mare delle tempeste.
E’ ancora in alto mare.
Può continuare il viaggio oltre le Colonne d’Ercole o rientrare nella rada.
Di sicuro è un tempo che non è più l’alba, ma neanche il tramonto.
Può arrivare il giorno del sole o la notte della luna.
Indubbiamente la sua pittura è poesia dell’anima;
è fremito del cuore;
è brivido dei sensi.
Ma non per questo cessa di lanciare messaggi d’amore agli uomini di buona volontà.
E Dio sa se ne abbiamo bisogno.
Giovanni Zavarella 2011
critico d’arte
● La pittura non è un valore dell’effimero.
Non si intriga nell’estetica per contaminare l’essere, ma solo per renderlo visibile e tendere a rivelarlo.
La percezione figurazionale nell’ambito della illimitata cosmicità è il tramite di chi ricerca la meraviglia del Creatore.
E quando questo straordinario fenomeno accade “à bouche bée” l’esito visuale si carica di forti tensioni emozionali e di proposte liriche che diventano i cartigli didascalici del mistero creazionale che ci circonda.
E non importa se la scoperta è la risultanza di una semplicità di ricerca purché essa sia suscitata dall’onestà intellettuale e dall’interiore bisogno di ciascuno di noi di incamminarci lungo la strada del bello e del vero.
E Nicoletta Tarli, a cui non fa difetto l’intima curiosità di frugare nella struggente memoria della civiltà contadina, smisura la sua esigenza trasfigurativa nella panicità di un paesaggio solare dove si tagliano dinamiche figure femminili, ben al di là e oltre ogni eccezione fisica.
La Tarli che non si lascia condizionare più di tanto dalla prosa del quotidiano, si rifugia nell’incanto di un affatato paesaggio campestre, laddove insistono, quasi fiabescamente, case contadine e una operosa umanità brulicante che non è difficile riscontrare tra le ubertose e colme colline umbre.
E dai suoi risultati complessivi che non si apparentano minimamente con le preoccupazioni cerebrali di tanta pittura astratta, insorgono peculiarità liriche che mentre, a volte, confinano con la spontaneità “naìve”, dall’altro propongono un nostalgico ricordo di un mondo essenziale, laddove regnava ingannevole (ahimé non regna più!) il dio Pan.
E ciò non tanto per sfuggire all’arsa e deserta realtà del pragmatico consumismo ma per offrire una gradevole deriva alle angosce dell’uomo contemporaneo che non ha tempo per pause di riflessioni su chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo.
La Tarli ha la presunzione di dare con i suoi caldi contrasti coloristici e con le sue composte immagini le soluzioni al faticoso andare dell’uomo.
E perché non condurlo al miraggio di un’oasi dove riposare le stanche membra!
Alla speranza non si chiede da chi viene e da dove viene.
E noi non lo chiediamo a Nicoletta Tarli.
Giovanni Zavarella
critico d’arte
● Ha scritto Sigmun Freud “L’arte costituisce un regno intermedio tra la realtà che nega i desideri ed il mondo della fantasia che li appaga”.
Ecco io credo che se il padre della psicanalisi fosse vissuto oggi ed avesse avuto l’opportunità di vedere le tele che Nicoletta Tarli ha raccolto in questa significativa rassegna, avrebbe sicuramente e con forza confermato questo suo giudizio, perché in queste opere l’originale artista perugina, grazie alle sue fantasiose e fantastiche creazioni, riesce a dare corpo e vitalità a quei desideri che la realtà ci nega ma che la fantasia riesce ad appagare.
Chi di noi infatti non ha desiderato, almeno una volta nella vita, di potersi liberare nel cielo, lieve e leggero, e volare, volare lontano lassù nel cielo infinito di un blu dipinto di blu.
Chi non ha mai desiderato, colto magari da quell’aspirazione all’onnipotenza dell’umanità primitiva” – della quale parlava sempre Freud -, di sentirsi un gigante e dominare alberi, case e monti riuscendo con un solo passo a percorrere le mitiche ” sette leghe” della famosa fiaba. E chi, di contro, per sfuggire alla realtà o per il semplice desiderio di addentrarsi nei misteri e le magie del microcosmo, non ha mai desiderato di trasformarsi in un lilliput e dormire dentro una foglia o fare l’altalena su di un tralcio d’uva.
Credo che tutti siamo vittime di questi desideri che oggi, grazie alla fresca immaginazione di Nicoletta Tarli, è possibile soddisfare così come ci insegna questo popolo di donne tutte uguali e tutte, quasi, senza volto, che preso per compagno di viaggio un colorato palloncino si sollevano da quei loro fioritissimi campi per veleggiare tra le ali del sogno e del desiderio o che, invece, fattesi microscopiche creature si insediano tra grappoli e chicchi d’uva o tra profumate rose, per vivere una dimensione di favola in un mondo di fiaba e leggenda.
In ogni caso, comunque, è come se ogni elemento si fosse liberato dal peso della sua funzione oggettiva e affrancato dal ricatto della realtà, in una libertà espressiva piena e fantastica, riesca a divenire universo: ora rassicurante, ora gioioso, ora lucido, ma comunque sempre ricco di una bellezza innocente ed incontaminata.
La pittura di Nicoletta Tarli, insomma, oltre a costituire una sicura espressione dell’inconscio, mi pare rappresenti, anche, un particolare atteggiamento dell’animo, una specifica concentrazione del proprio mondo emotivo ed una emozionante e complessa verità interiore, metaforicamente sotterranea, che fluisce in ognuno di noi, ma che solo lei sa portare alla luce in un insieme di pulsioni, influssi e miraggi.
Luciano Lepri
critico d’arte
● Brividi dell’anima
La pittura è uno dei primi linguaggi dell’uomo e della donna. Le figure rupestri in grotte di memoria antica sono la prova documentale dell’homo sapiens in comunicazione. Il dipinto non è solo, quindi, l’esito di chi vuole visualizzare in immagini i sentimenti, le sensazioni, le emozioni e le riflessioni ch’entro e fuori urgono. La risultanza figurativa non si esaurisce nell’estetica dell’evasione e dell’effimero. Anzi per molti pittori una tale deriva è riduttiva e non di rado avvertono l’urgenza di andare oltre l’apparente per cogliere l’essenza del nostro essere in cammino. E la pittrice Nicoletta Tarli che da qualche decennio gode del consenso di tanti estimatori e dell’assenso motivato dei maggiori critici d’arte umbra, srotola nelle sue intriganti tavolozze, una gamma di sentimenti, di emozioni, di sensazioni che partendo da una squisita sensibilità femminile, trova ragion d’essere nei valori che insorgono prepotenti dalla sua anima. Le sue donne contadine senza mani e senza volto, (per fortuna non sempre) situate, in esterni e in interni, non sono frutto della casualità e dell’accidentalità, ma, al contrario, sono espressione di una forte volontà che vuole lanciare messaggi, non proprio ermetici, all’umanità che la circonda, che ci circonda. L’osservatore non si lasci ingannare, più di tanto, dalle sapienti campiture cromatiche ora foriere di ombre, ora di luci. In verità la preoccupazione della pittrice Tarli non è l’estetismo formale, anzi l’alterazione somatica è motivo per più e meglio far transitare il suo messaggio valoriale. Che mentre prescinde dalla bellezza femminile, dall’altro vuole testimoniare la rivendicazione di una identità e di una parità femminile che ha ben donde di reclamare dalle pieghe di una società contadina in ritardo rispetto all’urgenza femminile.
Ovviamente la rappresentazione della scena contadina e degli interni documentali di una casa d’antan, è il pretesto accattivante per dare vita ad una urgente esigenza dell’anima di Nicoletta. Che per quanto si sforzi di oggettivizzare ed universalizzare il sofferto vissuto delle donne contadine, la verità di essere capita e compresa nella sua complessità emozionale risulta forte e imperante. E chi ha la pazienza di porsi in “auscultazione spirituale” di quel mondo che si matassa, al di là di remota ed improbabile parentela con Ligabue e Migneco, riceve una serie di scariche di adrenalina che fanno pensare, e a volte, sorridere amaramente per quanta incomprensione circonda la galassia femminile e quante urla di dolore restano nel nostro mondo pragmatico ed eticamente sordo, inascoltate. Che per dirlo sinteticamente con Blaise Pascal: “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione con conosce”. Di conseguenza se si ha l’accortezza di accompagnare discretamente ed umilmente, la peregrinatio terrena dell’anima della Tarli, si riesce a percepire che dietro l’apparenza di alcune soluzioni semplicistiche, si nasconde il vissuto di una donna, delle donne del XXI secolo. Che vivono la contraddizione non solo dell’avere in contrasto con l’essere, ma anche la distrazione di una umanità che va troppo di corsa e che dissolve nel niente il dono della vita. Di sicuro Nicoletta nel visualizzare, negli ultimi lavori, la compresenza dell’uomo lancia ulteriori segnali. Si avverte il superamento di tetre ed ermetiche stagioni, dove l’incomprensione la faceva da padrone, per proporre un tempo della speranza. Una speranza decodificata che si fa pregnante e corposa realtà in quelle materiche esplosioni floreali, dove i petali e i pistilli suscitano forti sensazioni di vita. Di profumi. Di sensazioni. Di sensorialità. Di sensualità. Non si tratta di fiorellini fragili e deboli. Di ingenue trasparenze chiariste. Anzi. È la prova concreta di una visione della vita differente che, seppur non si lascia completamente travolgere, va ad impigliarsi nell’ottimismo. Senza il quale non si va da nessuna parte. E allora ci è gradito invitare il visitatore a soffermarsi davanti alle opere di Nicoletta Tarli per godere di un éblouissement emozionale. Per vivere la dimensione dello stupore poetico.
Giovanni Zavarella
critico d’arte
● Nicoletta Tarli ci offre nuovamente i suoi umori più genuini non attraverso la risposta di una situazione o la movimentazione di un ritmo ma con quel dono benedetto che è il colore. E non, si badi bene, intingendo sulle variabilità della tonalità o sulla costruzione di una trasparenza, ma ben altrimenti introducendosi in nicchie non esplorate dove la tinta diventa significato fuori da ogni convenienza descrittiva e dove lo spessore della materia non è suggestione formale ma certezza lirica, perché nella pittrice perugina la realtà opera senza sfinimenti accademici in un naturalismo semplice, vero, profumato di lontananze, illuminato di tenerezze antiche, turgido di segrete emozioni. Nicoletta Tarli sa dosare sobrietà di effetti con la spontaneità dell’artista che introduce, se si può dire, le calde ebbrezze della terra nella cornice soave di una contemplazione tersa, solo avvolta dalle vibrazioni dolcissime dei riflessi che si affacciano senza invasività, senza le consonanze quasi sillabiche della temporaneità, senza la necessità armoniche dei rapporti estetici. In questa sua pittura c’è magari il languore di stagioni calde e anche l‘operosità di tradizioni inviolate, ma c’è pure il sapore contadino di ritualità mai smesse deposte sulle dolci solennità della memoria. Con un tratto, un segno, un disegno, e soprattutto una convinzione espressiva che danno rilievo al sentimento forse al di là delle congiunzioni compositive. Perché in Nicoletta opera molto il cuore, che guida la sua ispirazione, quasi un componimento senza cornici lieto di sensazioni mai tradite, quasi una sensuale visitazione delle cose, quasi la carnalità degli oggetti offerti sugli spazi purissimi dell’innocenza, quella che magari fa di una natura morta il breviario della nostra vicenda di sempre.
Duccio Travaglia
giornalista RAI e critico d’arte
● L’arte è l’unica cosa pulita sulla terra, a parte la santità. Lo scriveva Huysmans, scrittore francese di origine fiamminga inquieto e sognatore. E la definizione mi riporta, con immediatezza, alle opere di Nicoletta Tarli. Pittrice dell’anima. Difficile, almeno per quanto mi riguarda, trovare qualcosa di più pertinente che esprima l’essenza della sua arte. Guardate i suoi nudi di donna, sensuali, mai eccessivi, dolci e laceranti al tempo stesso; malinconici eppure soffusi di grande serenità. Specchio dell’anima di un’artista, ancorché molto giovane, che usa il colore con consumata sapienza. Ambientazioni in penombra che sconfinano in lirismo poetico di indubbio valore. Pittura e poesia. Due forme d’arte che si mescolano nell’ampio percorso di Nicoletta Tarli. Elementi che si colgono nelle sue nature morte, negli scorci naif dei borghi umbri raffigurati con la purezza di chi ama la natura, il silenzio, l’autenticità delle cose. Stili diversi, probabilmente frutto di un’ansiosa ricerca, persino angosciante, accomunati da tre costanti: il colore, l’espressione, il tatto. Artista discreta, Nicoletta Tarli fa trasparire la forza dei sentimenti sulla tela portando al culmine l’emozione nelle figure di donne, vigorose o stanche, nelle puerpere, nei paesaggi senza tempo che diventano luoghi della memoria, negli interni decadenti illuminati dagli occhi dei felini più che delle fiammelle dei ceri. C’e’ quanto basta, in lei, per definirla Artista.
Paolo Nonni
(capo redattore de “Il resto del Carlino”)